Il tartufo nella poesia

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Petrarca: amante del Tartufo Nero di Fragno

Il rinomato poeta italiano Francesco Petrarca (1304-1374), amico di Azzo da Correggio (1303-1362), signore di Parma in quel periodo, soggiornò al castello di Guardasone, dove venne a conoscenza della celebre fama del tartufo di Calestano. Nel suo capolavoro, “Il Canzoniere”, esprime in modo limpido e appassionato le emozioni dell’amore e del dolore, definendo le forme e il linguaggio della lirica moderna. Tuttavia, Petrarca merita anche riconoscimento nel campo della gastronomia, poiché nel nono sonetto, inviando un cesto di tartufi a un amico, li descrive poeticamente in questo modo: “…e non pur quel che s’apre a noi di fòre, le rive e i colli di fioretti adorna, ma dentro, dove già mai non s’aggiorna, gravido fa di sé il terrestro umore, onde tal frutto e simile si colga.”

Il Tartufo nel Canzoniere di Andrea Bajardi 

Andrea Bajardi (Parma c. 1450 – 1511), proveniente da una famiglia nobile e figura di rilievo nella vita culturale e politica di Parma tra Quattrocento e Cinquecento, è ricordato per una raccolta di poesie e un lungo romanzo in ottave, “Il Filogine”, pubblicato nel 1507, oltre a diverse altre opere ora perdute. Le sue “Rime”, una classica raccolta cortigiana ispirata al canzoniere petrarchesco, sono conservate in un manoscritto autografo presso la Biblioteca Municipale Panizzi di Reggio Emilia. Solo 42 sonetti di questa raccolta furono pubblicati nel Settecento. Tra questi, il XXI descrive un piccolo cesto di tartufi inviati come dono all’amata, nella speranza di favorire un incontro romantico:

Nati ne’ Monti presso a Calistano,
Quel, che ne manda, sì t’è partigiano,
Servo a tua beltà reso, e buon suggetto,
Ed ha per te sì gran ferita in petto,
Cui sopportar non è in potere umano.
Se noi siam pochi, accetta in supplemento
Se la sostanza nostra poi sia buona.
E di quel ch’opra il nostro nutrimento,
Chiedine a quel che a Te ne manda, e dona.”