A cura di Giovanni Ballarini

La raffigurazione del tartufo da Mathias de l’Obel (1538-1616), Icones stirpium seu plantarum tam exoticarum, quam indigenarum. Anversa, Plantin, 1591 (Calestano, Museo del Tartufo di Fragno – Collezione Soncini).
Tartufo: storia di un nome
L’origine della parola tartufo è dibattuta dai linguisti con la conclusione, probabile ma non definitiva, che derivi dal latino terrae tuber, da cui discendono territùfru, volgarizzazione del tardo latino terrae tufer (escrescenza della terra), dove tufer sarebbe usato al posto di tuber (Dizionario Italiano Sabatini-Coletti, Giunti, Firenze 1999). Recentemente lo storico Giordano Berti dimostra che il termine tartufo deriva da terra tufide tubera o anche da terra tufule tubera, titolo che appare in testa a un’illustrazione della raccolta del tartufo contenuta nel Tacuinum sanitatis, codice miniato del XIV secolo, per la somiglianza tra questo fungo ipogeo e il tufo, pietra porosa tipica dell’Italia centrale. Il termine si contrae poi in terra tufide e nei dialettali tartùfola, trìfula, tréffla, trìfola. Il termine tartufo comincia a diffondersi in Italia nel Seicento e nel frattempo la dizione è già emigrata in Europa assumendo varie dizioni: truffe in Francia, Trüffel in Germania, truffle in Inghilterra.
Storia sociale dei tartufi
Già nel 1600 a. C. una fonte anonima descrive il tartufo come misterioso prodotto della terra. Il filosofo greco Teofrasto (ca. 370-286 a. C.) descrive i tartufi nella Historia plantarum riguardo alla loro riproduzione e fisiologia. Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) definisce i tartufi figli della terra. Il medico greco Dioscoride (40 d.C. 90) li classifica come radici tuberose. Plinio il Vecchio chiamato anche Gaio Plinio Secondo (24-79 d. C.) e altri scrittori greco-romani associano la proliferazione dei tartufi ai temporali e attribuiscono il loro aspetto all’azione dei fulmini. Si ritiene che molti dei tartufi descritti in epoca greco-romana siano quelli che oggi sia chiamano tartufi del deserto nel genere Terfezia che si differenziano dai tartufi del genere Tuber perché il loro odore non è così forte, la loro polpa non è marmorizzata e crescono in climi più secchi e sono chiamati terfez dal popolo arabo del Nord Africa e kame in Asia orientale.
È stato ipotizzato che la manna descritta nella Bibbia ebraica, il cibo che nutre gli israeliti affamati nel deserto, sia una varietà di tartufo del deserto. Nella Bibbia giudeo-cristiana la manna è descritta così: “Era bianca come il seme di coriandolo e aveva il sapore di ostie fatte con miele”. Un esperto contemporaneo dei tartufi del deserto del Medio Oriente, Elionar Shavit, li descrive come aventi la consistenza di una patata croccante, l’odore di una candela di cera d’api appena spenta e il sapore delle noci di macadamia.
Nella cultura occidentale, dopo la caduta dell’Impero Romano, tra il V e il XII secolo, nella letteratura scritta vi sono poche nuove conoscenze sul tartufo. In Medio Oriente, i tartufi continuano ad essere apprezzati per il loro valore medicinale e il profeta Maometto (570 – 632 d.C.) raccomanda i tartufi per curare i disturbi degli occhi. Nel decimo secolo, il filosofo e medico islamico Avicenna, noto come Ibn Sina (980-1037 d. C.) descrive i tartufi come un trattamento per vari disturbi tra cui vomito, ferite e debolezza, e raccomanda in particolare il succo dei tartufi del deserto per le comuni infiammazioni oculari.
In Europa il tartufo riemerge come alimento apprezzato verso il XIV secolo tra i signori ricchi di Italia e Francia. In Italia tra gli autori rinascimentali degni di nota vi è il medico umbro Alfonso Ceccarelli (1532 – 1583) che scrive l’Opusculus de tuberis (1564) dove riassume le opinioni di naturalisti greci e latini e vari aneddoti storici. Da questa lettura risulta che il tartufo è sempre stato cibo altamente apprezzato, soprattutto nelle mense di nobili ed alti prelati. Per alcuni, il suo aroma è una sorta di quinta essenza che provocava sull’essere umano un effetto estatico. Nelle cronache medievali e rinascimentali risulta che l’intero Monferrato è luogo di produzione dei più eccellenti e profumati tartufi.
Il micologo francese M. G. Malencon sostiene che i tartufi dopo essere stati una fonte di cibo per i contadini durante il Medioevo, diventano un alimento di primo piano per l’alta società francese durante il Rinascimento. Caterina de Medici di Firenze (1519-1589) è spesso riconosciuta per aver introdotto sofisticate tecniche culinarie in Francia dopo aver sposato il duca d’Orléans, il futuro re francese Enrico II (1519-1559). Sebbene gli studiosi contemporanei di storia dell’alimentazione accreditino la sua influenza personale come parte di una più ampia mitologia del tartufo, gli storici concordano sul fatto che l’apprezzamento francese per i tartufi cresce in gran parte dalle influenze italiane, ma l’età d’oro del tartufo inizia nel 1800 sotto l’influenza della gastronomia francese.
Storia botanica dei tartufi
I primi botanici sono confusi sull’origine e la riproduzione del corpo fruttifero del tartufo. La prima testimonianza di tartufi in Inghilterra risale al 1693 da Tancred Robinson (1658-1748) in un rapporto alla Royal Society e scrive: “Che cosa siano questi Rubs, né gli Antichi né i Moderni ci hanno chiaramente informato. Alcuni li faranno allevare nella Terra, altri li chiamano funghi sotterranei”. Robinson dice anche che questo delizioso e lussuoso pezzo di delicatezza è ben noto in Francia e in Italia e continua a considerare il fatto che i tartufi siano associati a un temporale: l’umidità li gonfia e il fulmine può disporli a emettere il loro particolare profumo così seducente per i maiali.
Durante il primo decennio del XVIII secolo, lo speziale e botanico Claude-Joseph Geoffroy (1685-1752) riconosce che i tartufi sono funghi, non piante. Nel 1729, Pier Antonio Micheli (1679-1737), famoso botanico e micologo italiano, analizza e definisce la descrizione dei semi (spore) dei tartufi e nota il loro sviluppo all’interno di sacche membranose (asci). Le sue osservazioni sono dibattute per oltre un secolo e spesso contrapposte alle teorie più stravaganti e fantasiose che sostengono fiabe e storie dell’epoca.
Uno dei primi importanti studi scientifici del tartufo, la Monographia tuberacearum viene pubblicato nel 1831 dal medico e micologo italiano Carlo Vittadini (1800-1865). Il libro descrive sessantacinque specie di tartufo, di cui cinquantuno nuove. Vittadini è il primo a riconoscere che l’associazione delle radici delle piante fungine che oggi chiamiamo ectomicorrize è importante non solo per il tartufo ma anche per gli alberi. Vittadini scrive: “È nostra ferma opinione che, al di là di ogni dubbio, le piante superiori assorbono i nutrienti dal fungo attraverso le loro radichette nutritrici”.
In Inghilterra il Tuber aestivum, il cosiddetto tartufo di cervo, per molti anni è fonte di cibo e fino alla Prima guerra mondiale un piccolo numero di tartufai si guadagna da vivere raccogliendo questi funghi con l’aiuto di cani addestrati.
Sebbene gli Stati Uniti non facciano parte della tradizione classica del consumo di tartufo, durante la fine del XIX e per tutto il XX secolo, il Paese produce un certo numero di eccezionali specialisti del tartufo, soprattutto nel nord-ovest del Pacifico. Il primo è Harvey W. Harkness (1821-1901) un medico che divenne ricco durante la corsa all’oro in California e diviene buon amico di Leland Stanford. Harkness ha un serio interesse per la micologia e pubblica il primo studio approfondito sui tartufi nordamericani, California Hypogeous Fungi che individua la costa americana del Pacifico come centro per la ricerca sul tartufo. La tradizione continua con la prima donna a ricevere un dottorato di ricerca in botanica dall’Università della California a Berkeley, Helen M. Gilkey (1886-1972), che nel corso dei decenni descrive o rivisita quasi settanta specie dando contributi essenziali alla comprensione dell’ecologia del tartufo. Gilkey passa la sua preziosa collezione di esemplari fungini a James Martin Trappe (1931-) che probabilmente diviene uno dei massimi esperti di biologia del tartufo con oltre cinquecento articoli scientifici e tre libri rimodellando la tassonomia del tartufo. Il Nord America produce molte specie autoctone dai sapori eccellenti, tra cui il tartufo bianco invernale (Tuber oregonense) e il tartufo primaverile (Tuber gibbosum) della costa occidentale. Molti appassionati di tartufo americani credono che il loro gusto e aroma siano uguali o superiori a quelli del tartufo d’Alba. Le informazioni raccolte dalla gestione forestale nordamericana che incoraggiano la formazione di tartufi possono aiutare parti del mondo come la Nuova Zelanda e l’Australia, che stanno tentando di sviluppare pratiche di coltivazione del tartufo per soddisfare la crescente domanda di questi deliziosi macrofunghi.
Storia gastronomica dei tartufi
Oggi le specie di tartufo commestibile più studiate nel mondo sono quattro tartufi neri: T. melanosporum, T. brumale, T. aestivum e T. indicum; due tartufi bianchi T. magnatum e T. borchii, così come due tartufi del deserto, uno bianco (Tirmania nivea) e uno nero (Terfezia). Le descrizioni dell’aroma del tartufo variano da terroso e muschiato a pungente e nocciolato, tuttavia i profili aromatici desiderabili non sono condivisi uniformemente tra le specie di tartufo. Il tartufo bianco italiano T. magnatum del Sud Piemonte, noto anche come tartufo bianco di Alba, è uno dei prodotti alimentari più costosi e pregiati del mondo gastronomico.
In Italia le più importanti zone di produzione di tartufo bianco sono il Piemonte, la Lombardia sud-orientale, l’Emilia-Romagna nella fascia appenninica, la Toscana, l’Umbria, le Marche, il Basso Lazio, l’Abruzzo e il Molise. Molto più comune invece il tartufo nero, che vede in Umbria e in Molise alcune delle zone più vocate alla sua produzione, sia della varietà estiva (il cosiddetto scorzone), sia della più pregiata varietà invernale (Tuber melanosporum) e altre produzioni si individuano in diverse Regioni.
Il Tartufo Nero di Fragno, varietà di Tuber uncinatum di raccolta autunnale nell’Appennino parmense è riconosciuto come PAT (Prodotto Agroalimentare tradizionale) della Regione Emilia Romagna. Raccolto da tempo immemore dai tartufini della zona su terreni della famiglia Fieschi di Genova, prende nome dall’omonima frazione del comune di Calestano posta in prossimità dello spartiacque fra le valli del torrente Parma e del torrente Baganza, al centro del territorio vocato alla raccolta del prezioso fungo. La zona di elezione è contraddistinta dalle conformazioni geologiche a Flysh, un esteso fondale marino che ha subito importanti trasformazioni fisiche. L’habitat nel quale cresce e si sviluppa il tartufo nero di Fragno sono terreni morbidi, privi di ristagni d’acqua perché posti prevalentemente in pendenza, generalmente esposti a Nord, ai margini o all’interno di boschi misti di latifoglie e compresi in una fascia altitudinale che va dai 500 ai 1000 m s.l.m.
Noti per il loro alto valore gastronomico, i tartufi sono serviti in una varietà di stili e abbinamenti gastronomici. Molti intenditori culinari apprezzano il sapore umami del tartufo, simile a un fungo e sono spesso abbinati a cibi grassi di qualità. A causa del loro aroma e del prezzo elevato, sono spesso usati in piccole quantità come spezia o aromatizzante nei piatti, rasati in scaglie sottilissime inserite nelle carni o cosparsi come guarnizione.
Gioacchino Rossini (1792-1868) definisce il tartufo bianco italiano il Mozart dei funghi. Oltre ad essere un alimento di prim’ordine in Paesi europei come la Francia e l’Italia, varietà locali di tartufo in altri Paesi del mondo sono state raccolte e vengono tuttora raccolte come fonte di reddito per molte comunità tribali indigene.
Approfondimenti
Allena Kirsten, Bennett Joan W., Tour of Truffles: Aromas, Aphrodisiacs, Adaptogens, and More in “Mycobiology”, 49, 3. 201-212, 2021.