Maria Caruso
Nel 1815, l’autore Michele Leoni (1776-1858) pubblicava un’opera molto interessante ed ambiziosa: la traduzione, o meglio, la resa poetica in versi italiani della commedia di William Shakespeare, The Tempest, La Tempesta.
Leoni fu un letterato che, dalle umili origini in Borgo San Donnino, oggi Fidenza (PR), ascese grazie al suo soggiorno milanese e ai suoi poemetti in versi, ad una grande e stimata carriera, grazie anche alla collaborazione con l’eccellente medico Giovanni Rasori (1766-1837) che gli affidò la redazione degli Annali di scienze e lettere, edita a Parma e a cui per un quadriennio collaborò anche Ugo Foscolo (1778-1827).
Rasori, che stimava il lavoro di traduttore dall’inglese del Leoni, gli affidò il compito di una versione italiana di opere di J. Milton e W. Collins, cosa che diede impulso all’opera di traduzione della raccolta completa di Shakespeare, e infine a pubblicare in 14 volumi le Tragedie (Verona, 1815-22). In seguito, ottenne la cattedra di letteratura italiana presso l’Università di Parma e la nomina a Segretario dell’Accademia di Belle Arti parmense.
Leoni fu dunque un autorevole figura e la sua opera un punto di riferimento.
Nel caso di Calibano, la Tempesta e i… tartufi accade però un episodio singolare, ed emblematico della suggestiva presenza dei tartufi nell’immaginario del traduttore.
Nel rendere il discorso di Calibano del secondo atto, Leoni traduce la parola “pignuts” (letteralmente, noci dei maiali), in tartufi. In effetti, la scena, che parla di scavare con unghie affilate il terreno e dissotterrare queste “pignuts” per offrirle ad un ipotetico signore, evoca proprio ciò che Leoni certamente conosceva dei tartufi – eccellente prodotto presente da secoli sulle tavole nobili, e prodotto del territorio della Val Baganza ben noto ed apprezzato anche allora.
Il problema è che oggi, in lingua moderna, e tradizionalmente in area anglosassone le “pignuts” sono invece le castagne di terra, o frutti del Noce Americano, Hickory – o al massimo per esse si intendono i “frutti della terra”, come nella moderna versione di Carlo Rusconi.
Ma all’epoca, Leoni traduceva e soprattutto rendeva il testo in forma poetica, evocando, sulla scia della propria esperienza, l’immagine del maiale che scava e trova… i tartufi!
Inoltre, la bellissima versione poetica, che ha un grande valore letterario per la lingua italiana, è arricchita da Leoni con ampliamenti evocativi, per quanto riguarda il passo specifico col discorso di Calibano.
Lungi dal voler tradurre in inglese (cosa impensabile dal momento che abbiamo i versi autografi di Shakespeare), proponiamo qui, a seguire il testo originale inglese, seguito dal testo italiano di Michele Leoni (con la sua resa poetica), e la traduzione inglese di ciò che Leoni scrive, per rendere l’idea di come, anche in questo caso, i tartufi siano protagonisti capaci di evocare, nell’immaginario collettivo poetico, scene di grande impatto, e di bellezza immortale.
William Shakespeare, The Tempest, 1610-1611.
CALIBANO
I prithee, let me bring thee where crabs grow,
And I with my long nails will dig thee pignuts,
Show thee a jay’s nest, and instruct thee how
To snare the nimble marmoset. I’ll bring thee
To clustering filberts, and sometimes I’ll get thee
Young scamels from the rock. Wilt thou go with me?
Michele Leoni, La Tempesta,
dramma di G. Shakespeare recato in versi italiani da Michele Leoni di Parma.
Pisa, Presso Niccolò Capurro, 1815.
«Non di qui lunge assai tal parte resta
Delizïosa di selvagge poma:
Non ti ritrar, deh, mio signor; vieni meco.
Là con queste ugne mie, fatte ad uncini,
Dentro il terren ti cercherò i tartufi:
Ti additerò della ghiandaja il nido;
E sarai per me sol fatto nell’arte
Ammaestrato di trar fuor del sasso,
In che s’interna, l’agile marmotta.
Andremo in compagnia là dove pende
In bei gruppi la calida nocciuola;
E talor farò sì, che la tua mensa
Per me, non men d’ogni altra caccia esperto:
Sia di capra selvatica imbandita.
Vien dunque».
English translation of Michele Leoni, The Tempest, 1815
«Not far from here such an abundance lay,
Delicious, of wild fruits:
Do not refrain, alas, my lord; come with me.
There, with these nails of mine, turned into hoofs,
Inside the earth I will search for thee truffles:
I will point to you the nest of the jay bird,
And I alone can train you in the art
Of pulling out of stones,
In which it hides, the agile groundhog.
We will travel in company there, where it lops,
In lovely bunches the warm hazelnut.
And at times I will make it so that your table,
Thanks to me, no less expert in every kind of hunting,
Be plenished with wild goat meat.
Come, alas!».