Ambasciatori della valle del cibo: Francesco Peschiera – Sindaco di Calestano

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È arrivato questo mese il Museo del Tartufo di Fragno, ultimo nato nella famiglia dei Musei del Cibo della provincia di Parma.
A Calestano, nelle vecchie carceri, fatte di ambienti in pietra, piccoli e sotterranei trova sede il nuovo Museo dedicato al prezioso fungo ipogeo.
Quella proposta dal nono Museo del circuito è una visita concepita e strutturata come una caccia al tesoro, decisamente immersiva.
Diviso in sei sezioni, il Museo dedica ampio spazio al territorio e a Calestano, dove ha sede, con il suo bellissimo centro storico di età medievale, i suoi portici, le sue piazzette.
Abbiamo approfondito alcuni temi, in particolare legati al turismo, alla tutela della biodiversità e al prodotto “Tartufo uncinato di Fragno” con il sindaco di Calestano Francesco Peschiera.

Il Museo del Tartufo uncinato di Fragno è l’ultimo arrivato nel circuito dei Musei del Cibo della provincia di Parma, il secondo in una zona montana dopo quello del Fungo Porcino di Borgotaro. Cosa si aspetta possa portare in termini di valorizzazione del turismo e della cultura enogastronomica del territorio?

La realizzazione del Museo del Tartufo rappresenta un investimento per il futuro del nostro territorio in termini di promozione e valorizzazione del ruolo storico di Calestano e della Val Baganza nella cultura nazionale del tartufo: in questo senso occorre ricordare che il nostro paese è già una riconosciuta “Città del tartufo” e grazie al Museo potrà ulteriormente migliorare la propria offerta turistica, ambientale e paesaggistica, portando l’attenzione ben oltre il periodo della Fiera nazionale che tradizionalmente si svolge tra ottobre e novembre di ogni anno.
Questo territorio possiede una lunga tradizione in termini di enogastronomia, di cui una significativa parte è legata alla valorizzazione del Tartufo Uncinato di Fragno che viene raccolto nei nostri boschi: credo che il Museo potrà rappresentare un importante mezzo di informazione e divulgazione della conoscenza legata al prodotto, al territorio e alla botanica che lo riguarda, alle tradizioni e quindi meglio comprendere in ultima analisi la natura stessa di questo prezioso tartufo e la sua grande qualità.

Il Tartufo Uncinato di Fragno è considerato un Pat cioè un “prodotto agroalimentare tradizionale”. Quali sono i numeri della filiera in termini di raccolta, trasformazione e commercializzazione? Come fare per valorizzare la grande qualità del prodotto?

La scelta della registrazione come Pat (e di essere fra i prodotti fondanti la strada del Prosciutto e dei Vini dei Colli di Parma) nasce dal fatto che il nostro tartufo è prima di tutto il frutto del rapporto secolare fra l’uomo e il bosco, prima ancora che del rapporto fra il tartufo e la sua cucina. Tanto è vero che oggi la “cavatura” è considerata dall’Unesco “Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità”, cosa assai difficile da raggiungere per una filiera di tipo industriale. La nostra filiera è fatta da vivaci Lagotti che accompagnano i “tartufini” nei boschi, da decine di raccoglitori che conferiscono direttamente ai ristoranti, di diverse aziende agricole che coltivano i tartufi, di un rapporto privilegiato con la Consulta del tartufo del Bosco del Ducato, che riguarda la cerca e la raccolta nelle province di Parma e Piacenza, assai ricca e cospicua. Per dare un’idea: la Fiera di Calestano muove da sola diversi quintali di tartufo nell’arco di poche settimane, mentre i due Centri di Raccolta ufficiali “Bosco del Ducato” intercettano svariate tonnellate di prodotto, fra tuber aestivum e uncinatum, nel corso dell’anno).
La qualità del nostro tartufo è tutelata – caso unico in Italia e in Europa – da un marchio di qualità di proprietà del Comune di Calestano. Il logo “Tartufo Uncinato di Fragno” è associato a un rigido disciplinare, in gestione all’omonimo Consorzio (già Consorzio Qualità Tipica Val Baganza) che regola merceologie e pratiche di commercializzazione e trasformazione. Il mercatino del tartufo che si svolge in Fiera, frutto anch’esso del disciplinare consortile, è uno dei rari esempi di trasparenza nel settore, riunendo le associazioni dei raccoglitori e fissando settimanalmente col “Borsino” le quotazioni delle diverse merceologie consentite.

L’ecosistema in cui cresce il tartufo ha bisogno di standard di biodiversità molto elevati, esiste il pericolo di una raccolta eccessiva che possa alterare e quindi non salvaguardare l’ambiente incontaminato in cui questo fungo ipogeo cresce?

Le tartufaie naturali non hanno una specifica legge che le protegga; i boschi cedui sono sottoposti a pratiche di taglio che tengono poco in considerazione le particolari cautele necessarie alla loro salvaguardia. Beninteso, comportamenti scorretti da parte di cercatori poco qualificati possono alterare e danneggiare anch’essi l’ambiente naturale, ma il cambiamento climatico in corso è un ulteriore fattore di debolezza; il nostro tartufo ha bisogno di quiete e di un certo grado di umidità, quindi siccità e temperature elevate lo costringono a “emigrare” verso quote sempre più alte, alla ricerca di maggiore refrigerio.
Buone pratiche nella cerca e una più attenta gestione forestale sono vie utili alla salvaguardia di questi delicati ecosistemi: confidiamo al riguardo che il riconoscimento Unesco di “Riserva della Biosfera” per ampi territori dell’Appennino tosco-emiliano che abbraccia anche il nostro comune, possa agevolare una più attenta politica di tutela del prezioso contesto ambientale che possiamo vantarci di possedere e che vogliamo preservare per le future generazioni.