Audioguida

Il percorso inizia nel cortile del Museo con il pannello sulla destra che presenta la storia della Val Baganza, il borgo di Calestano e il suo territorio.

La Val Baganza, attraversata dal torrente omonimo, si estende su un bacino idrografico di 225,5 kmq delimitato da crinali stretti che la separano dalle valli Parma ad Est e Taro ad Ovest. I terreni calcareo-marnosi dominano la parte alta e media della valle caratterizzata da forti pendenze, mentre le colline basse più dolci e aperte sono composte principalmente da rocce argillose e sedimentate. Questi terreni favoriscono la crescita dei boschi sui rilievi e la produzione agricola nelle zone pianeggianti. La valle è stata popolata sin dall’epoca neolitica, con insediamenti che risalgono al 5000 avanti Cristo, per poi passare sotto la dominazione del popolo delle Terramare durante l’età del Bronzo. L’influenza romana, invece, si può notare a partire dal II secolo prima di Cristo con lo sfruttamento delle risorse naturali e la produzione di vino. Durante il Medioevo, il controllo della valle diventa cruciale per raggiungere il valico della Cisa e il Mar Tirreno. Questa importanza strategica ha portato alla costruzione di diversi castelli con lo scopo di presidiare la zona e controllarla. Nonostante la sua importanza, la Val Baganza non è mai stata attraversata da grandi traffici, per questo è rimasta pressoché inalterata fino ai giorni nostri.

Calestano, situato sulla sponda destra del torrente Baganza, ha radici medievali anche se il suo nome potrebbe derivare da “Callistus”, un proprietario terriero romano della zona. Durante il Medioevo, il paese è stato un feudo appartenente alla famiglia Fieschi per poi passare nel 1650 ai conti Tarasconi fino al 1806 quando diventa un comune. Dopo l’Unità d’Italia, sono state costruite diverse strade che hanno favorito lo sviluppo economico, tra queste la tranvia elettrica Parma-Marzola che ha promosso il turismo sciistico fino alla sua chiusura nel 1952. Il borgo di Calestano si è sviluppato lungo un asse viario da Est a Ovest. La via maestra collegava l’estremo Ovest dalla Maestà alla chiesa parrocchiale di San Lorenzo, mentre l’antico Rio di Sant’Agata, ora interrato, scorreva lungo l’attuale via Mazzini. Percorrendo le vie dell’antico borgo si può ancora ammirare la parte più antica dell’abitato costituita da strade lastricate in pietra.

L’immagine al centro del pannello è una cartina di Calestano che presenta i punti più suggestivi del borgo storico.

Sono numerose le borgate che punteggiano la valle e che presentano esempi significativi di architettura spontanea conservatesi nel tempo. La mappa segnala i più interessanti.
Il territorio di Calestano offre anche una natura rigogliosa con una fitta rete di sentieri escursionistici. Durante la primavera si possono ammirare diverse specie di fiori, tra cui orchidee selvatiche e anemoni, mentre in autunno i boschi si tingono di colori vivaci; in estate, la fresca brezza offre refrigerio, mentre d’inverno la neve crea un ambiente suggestivo. È possibile anche avvistare animali selvatici come caprioli, cervi e uccelli rapaci. Inoltre gli amanti della bicicletta possono esplorare il territorio grazie alla Ciclopista Mountain Bike godendo lungo il percorso dei boschi e dei borghi restaurati. La “Via degli scalpellini” offre visioni mozzafiato sulla catena rocciosa dei “Salti del diavolo” utilizzati in passato anche come cava di pietra.

Nel pannello si possono osservare diversi punti strategici della Val Baganza. Proseguendo verso sinistra raggiungiamo il prossimo pannello.

Il Tartufo Uncinato di Fragno è un prezioso fungo ipogeo caratteristico della Val Baganza. A lui, alla sua storia e cultura, al suo habitat e alle sue tradizioni, è dedicato il Museo.

Ritira in biglietteria la scheda per la caccia al Tesoro nascosto: rispondi ai vari quesiti legati alle singole sezioni e dai forma alla parola misteriosa. Digitala sul touch screen al termine del percorso e se avrai risposto correttamente potrai visionare un filmato davvero particolare…

Il Museo del Tartufo uncinato di Fragno fa parte del circuito dei Musei del Cibo della provincia di Parma, nato per valorizzare i prodotti gastronomici d’eccellenza della “Valle italiana del Cibo”.

Un breve video sulla destra della biglietteria presenta tutte le sedi del circuito.

Il filmato ci mostra il mondo visto dagli occhi di un Lagotto mentre cerca, con il suo padrone, i tartufi nei boschi della Val Baganza. Voltiamoci verso il pannello alle nostre spalle.

L’uomo può individuare i tartufi grazie all’esperienza, ma senza l’aiuto di un animale non è in grado di localizzarli. L’utilizzo di maiali per la ricerca di tartufi è stato documentato per la prima volta nel XV secolo nel libro De honesta voluptate di Bartolomeo Sacchi. Nel Cinquecento questa pratica si diffuse in Europa e si svilupparono gli attrezzi utilizzati dai cercatori come la vanghetta: una zappa di dimensioni ridotte progettata per minimizzare il danno al terreno e alle radici dei funghi ipogei, oggi regolamentata. Per il trasporto, invece, vengono utilizzati dei contenitori specifici come la catana: una borsa per i tartufi che consente la dispersione delle spore. I tartufai, inoltre, indossano un abbigliamento adatto che li protegge dalle insidie del bosco, come scarponi da montagna, guanti per scavare in sicurezza e un bastone.

Nella teca a sinistra sono esposti alcuni degli strumenti tipici dei tartufai.
Raggiungiamo la prossima sezione dedicata alla ricerca, subito a sinistra è presente il pannello dedicato agli animali utilizzati in questa attività.

L’addomesticamento del maiale ha inizio intorno al 7.000 avanti Cristo nella penisola balcanica e si diffuse in Europa nel tardo Neolitico. Gli umani scoprirono che le scrofe erano attratte dall’odore del tartufo poiché esso emana un ferormone simile a quello del maschio di maiale. Così, è cominciata la cerca dei tartufi, seguendo le scrofe nei boschi vicino agli insediamenti umani. Nel Medioevo, l’utilizzo di questi animali viene testimoniato da un affresco di Ambrogio Lorenzetti in cui si osserva un contadino che conduce un maiale legato per una zampa per impedirgli di divorare i tartufi. Tuttavia, l’uso di questi animali è stato presto sostituito dall’impiego di cani addestrati, più efficienti e non dannosi per il terreno. Razze come bracchi, spinoni, pointer e grifoni dimostrano di essere adatte a questa attività. Il Lagotto Romagnolo diventa il cane da tartufo per eccellenza nel tempo. La sua affabilità, intelligenza e il suo olfatto eccezionale lo rendono ideale per la ricerca dei tartufi. Nel 1991 è stato ufficialmente riconosciuto come razza italiana con la specifica denominazione di “cane da tartufi” e nel 2021 l’UNESCO ha riconosciuto il legame speciale tra l’uomo e il suo cane nella pratica di ricerca e cavatura del tartufo in Italia, dichiarandola Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.

Proseguiamo, ora, il cammino alla nostra sinistra verso la sezione dedicata alla botanica e voltiamo le spalle al tartufo gigante per osservare il prossimo pannello.

La parola “tartufo” ha molteplici significati. In botanica si riferisce ad un pregiato fungo ipogeo, in zoologia indica un mollusco bivalve comune nel mediterraneo, in gastronomia può essere anche un dolce a base di gelato, nella lingua comune si riferisce alla parte del naso di molti mammiferi e metaforicamente, richiamando l’opera di Molière, indica una persona apparentemente virtuosa, ma disonesta.

Nel pannello sono presenti anche altri sostantivi che, associati alla parola “tartufo”, ne descrivono gli aspetti botanici, zoologici e simbolici.

Il tartufo è il corpo fruttifero di un fungo ipogeo che cresce nel sottosuolo. Prospera in ambienti freschi e umidi a 10/15 cm dal suolo e con l’innalzarsi della temperatura primaverile del suolo il micelio inizia a riprodursi. Si sviluppa in simbiosi con piante arboree o arbustive tramite micorrize che sono costituite da ife intrecciate che consentono alla pianta di fornire nutrienti al tartufo in cambio di acqua e sali minerali. Le ife, nel loro insieme, prendono il nome di micelio che è l’organismo principale che genera il corpo fruttifero del tartufo. Le spore, all’interno del tartufo, germinano e danno origine ad un nuovo micelio che può formare a sua volta nuove micorrize. I funghi ipogei si distinguono da quelli epigei (come, ad esempio, i Porcini) perché non possono diffondere le spore attraverso il vento; quindi, sviluppano un forte odore per attirare insetti e animali che mangiando il corpo fruttifero diffondo le spore.

Il ciclo di sviluppo del tartufo nero estivo e uncinato inizia con la semina delle spore a febbraio, seguita dalla loro germinazione a marzo e dalla formazione delle micorrize. Durante il mese di aprile il micelio colonizza il suolo. A maggio avviene la riproduzione, mentre a giugno matura il tartufo nero estivo e si avvia lo sviluppo di quello uncinato. La raccolta del tartufo nero estivo prosegue, poi, a luglio, mentre ad agosto termina la sua maturazione. A settembre matura lentamente il tartufo uncinato e ad ottobre inizia la sua raccolta che proseguirà fino a gennaio.

Il grande grafico circolare illustra il calendario annuale del tartufo nero estivo e di quello uncinato

La Val Baganza è caratterizzata geologicamente dalla presenza dei Flysch di Monte Bosso, Monte Sporno e Monte Cassio, rocce clastiche derivanti dal disfacimento di rocce calcaree e marnose del Mesozoico e Cenozoico. Queste rocce mostrano stratificazioni e pieghe dovute ad accumuli sedimentari ed eventi catastrofici che hanno alterato il fondale marino. Il terreno è prevalentemente calcareo e alcalino favorendo la crescita di carpino nero, roverella e nocciolo. Situata a Nord-Est rispetto al passo della Cisa, la zona è influenzata dal vento tirrenico con un clima che varia tra caratteristiche continentali e marine, ideale per il tartufo uncinato. I terreni sono freschi, umidi e ombreggiati e favoriscono lo sviluppo degli aromi intensi del Tartufo di Fragno. In questo territorio cresce anche il tartufo estivo considerato di qualità inferiore e con un aroma meno intenso. Il tartufo, essendo un fungo eterotrofo, crea una simbiosi coinvolgendo piante specifiche come Querce, Lecci, Carpini, Roveri, Tigli e Pioppi, oltre ad altre latifoglie e conifere. Il Tartufo di Fragno, in particolare, predilige in assoluto piante come il Carpino nero, ma non disdegna il Nocciolo, la Roverella e il Faggio.

In basso a sinistra è presente un approfondimento sugli alberi prediletti dal Tartufo di Fragno.
Voltiamoci ora e spostiamoci verso il monitor alla nostra sinistra.

Il filmato ci propone alcuni interventi del tartuficultore calestanese Francesco Dall’Argine sul Tartufo Uncinato di Fragno. Alla nostra sinistra prosegue il percorso con il pannello sulle varietà.

In natura esistono molte specie di tartufo, il Dictionary of the Fungi del 2008 ne elenca ben 86, ma solo poche sono commestibili e vengono raccolte e commercializzate. In Italia sono disponibili sul mercato nove specie, esse sono: il tartufo bianco d’Alba, tartufo bianchetto, tartufo nero di Norcia, tartufo nero estivo, tartufo uncinato di Fragno, tartufo nero invernale, tartufo nero liscio, tartufo nero moscato e tartufo nero ordinario. Per distinguere queste specie tra loro è necessario utilizzare un sistema di valutazione organolettico che considera parametri come il profumo, il sapore, l’aspetto del peridio (l’esterno) e della gleba (l’interno) e il periodo di maturazione che varia da specie a specie. In laboratorio le spore possono essere identificate tramite tecniche di analisi biomolecolare. Inoltre, alcune caratteristiche geoclimatiche come le proprietà del suolo, la presenza di acqua, l’umidità, il clima, l’altitudine e la flora locale possono determinare l’habitat di ciascuna specie di tartufo.

Sul pannello possiamo trovare alcuni approfondimenti sulle specie di tartufo commercializzate in Italia.

Il tartufo è costituito da due parti principali: la scorza esterna, chiamata peridio, che varia da specie a specie a seconda del terreno in cui cresce, e la parte carnosa interna, detta gleba, composta principalmente da acqua, grassi, fibre, sali minerali e sostanze organiche derivanti dall’albero ospite. La sua colorazione può variare dal marrone al rosa o dal bianco al grigio con possibili venature. La forma del carpoforo, il corpo fruttifero, dipende dal tipo di terreno: una terra morbida produce tartufi con carpoforo globoso sferico, mentre terreni pietrosi e ricchi di radici generano tartufi irregolari e bitorzoluti. Inoltre, la sensibilità del tartufo all’inquinamento lo porta a crescere solo in zone incontaminate, rendendolo una vera e propria sentinella della natura.

Metti alla prova la tua sensibilità! Avvicinati, infila la mano nei tre fori, tocca i modelli e prova a scoprire, chiudendo gli occhi, qual è il Tartufo di Fragno poi scrivilo sulla scheda della Caccia.

Il tartufo emette un aroma che attira mammiferi e insetti, i quali favoriscono la dispersione delle sue spore. Gli esperti in gascromatografia hanno identificato numerosi composti che contribuiscono alla formazione del suo caratteristico profumo, tra cui alcoli, aldeidi, esteri, chetoni e composti dello zolfo. Oltre a questi composti, sono presenti anche ormoni steroidei che hanno un forte richiamo sessuale e spiegano l’uso di animali nella loro ricerca. Circa duecento composti volatili sono stati identificati nel tartufo, ma solo una piccola parte di essi è rilevante per gli esseri umani. Alcuni di questi aromi sono prodotti da batteri presenti nelle micorrize, il che influisce sulla diversità degli aromi in base alle caratteristiche del suolo.

Alla sinistra si trova il tartufo gigante.

Il grande modello di Tartufo uncinato di Fragno è stato realizzato da Emanuela Dall’Aglio e ci mostra sia l’esterno rugoso che l’interno caratterizzato da una fitta trama di venature. Un Lagotto gli sta dando la caccia guidato dal suo formidabile naso…
Usciamo dalla sala della Botanica e proseguiamo la visita nella sezione dedicata alla ricerca dove a destra possiamo notare il pannello sui tartufai.

La raccolta dei tartufi è stata tradizionalmente un’attività contadina durante le stagioni più fredde dell’anno. Con il tempo il coinvolgimento di sempre più persone ha reso necessaria la regolamentazione dell’attività, sottolineata dalle leggi nazionali e regionali del 1991. Attualmente, la raccolta dei tartufi segue un calendario regionale che indica le tipologie di tartufo e i periodi in cui è consentita la raccolta. Inoltre i tartufai devono superare un corso di formazione ed ottenere un tesserino per poter svolgere questa attività. La legge impone anche che i cercatori di tartufo debbano essere assistiti da cani addestrati e dotati di un olfatto fine. Quando il cane individua il tartufo e inizia a scavare, il tartufaio deve intervenire nel punto indicato dall’animale estraendo il tartufo con molta delicatezza e ricoprendo il terreno rimosso per favorire la crescita di nuovi funghi. Il limite massimo di raccolta consentito è di un chilo di tartufi al giorno per ogni tartufaio. Inoltre, è vietata la ricerca notturna sebbene alcune regioni la permettano. Molti cercatori prediligono questa pratica per mantenere il segreto sulle zone produttive. Inoltre, l’oscurità mantiene il cane più concentrato e l’umidità del bosco, specie nelle prime ore mattutine, esalta anche la sua sensibilità olfattiva.

Guardiamo ora alla nostra sinistra un grande pannello fotografico.

Il grande pannello ci mostra l’ambiente naturale in cui vive il tartufo e in cui si muovono, con attenzione e rispetto, il tartufaio e il suo cane. Entriamo nella sala del bosco dove una multivisione ci fa vivere le emozioni di una giornata di ricerca dei tartufi nel bosco.

Al termine del filmato, quando si illumina la sala, hai solo un minuto per cercare nelle varie scatoline, le parole spezzate, trascrivile sulla scheda della caccia e poi ricostruisci la frase completa.

Il grande chef francese Alain Ducasse descrive il tartufo come un’esperienza di gusto unica e indescrivibile, caratterizzata da una forma irregolare, un sapore, una consistenza e un profumo che non possono essere paragonati a nulla di conosciuto. Anche Anthelme Brillat-Savarin, politico e raffinato gastronomo francese del XVIII secolo, autore della celebre opera Fisiologia del gusto, o meditazioni di gastronomia, lo definiva “il diamante della cucina”. Numerosi altri personaggi illustri hanno manifestato un amore speciale per il tartufo nel corso della storia.

Se inquadri il QR-Code ai piedi di ogni personaggio, sentirai dalla voce di ciascuno di loro raccontare la grande passione per il tartufo. Dopo averli ascoltati, risolvi il quesito e riporta il risultato sulla scheda di caccia.

Tocca sulla grande tavola al centro della sala il piatto che preferisci ed esplora il menù interattivo. Puoi scegliere fra antiche ricette e moderne preparazioni, antichi menù, abbinamenti inattesi e perfino l’uso del tartufo nella preparazione dei cocktail.

Il tartufo possiede un’antica storia avvolta dal mistero e ha influenzato la gastronomia e la scienza per millenni. Le prime menzioni risalgono al 1900 prima di Cristo nelle iscrizioni sumeriche, mentre i Greci e i Romani lo apprezzavano sulle loro tavole. Nel corso dei secoli medici e studiosi hanno esaminato gli effetti del tartufo sulla salute umana e ne hanno studiato il processo produttivo. Nel XIX secolo, Carlo Vittadini ha contribuito alla classificazione delle varietà di tartufo, mentre Giovanni Vialardi e Costanzo Gazzera introdussero nuove ricette e metodi di preparazione. Inoltre, nel 1892, Gaspard Adolphe Chatin definì una denominazione scientifica per il tartufo, contribuendo alla sua comprensione botanica.

Nella cronologia di sinistra possiamo notare alcune tappe fondamentali della storia della conoscenza del nostro prezioso fungo.

Nella storia parmense il tartufo ha radici antiche, che risalgono al Medioevo, ma il primo documento a stampa risale al 1912 quando l’articolo I Tartufi: la produzione dei nostri monti evidenzia la presenza di tartufi sulle colline della Val Baganza. Nel corso degli anni l’importanza del tartufo uncinato di Fragno cresce: nel 1984 si tiene la prima Festa del Tartufo di Fragno, mentre nel 1991 la tradizionale festa si trasforma in Fiera Nazionale. Nel 2000 il Tartufo Nero di Fragno viene iscritto tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) dalla Regione Emilia Romagna ed entra a far parte dei prodotti tipici promossi dalla “Strada del Prosciutto e dei Vini dei Colli di Parma”. Nel 2004 viene istituito il Consorzio Qualità Tradizionali Val Baganza che ha il compito di promuovere il logo delle “Terre Classiche” del Tartufo di Fragno, seguito nel 2007 dall’approvazione del primo disciplinare che ne regola la raccolta e la conservazione e la vendita. Infine, nel 2021, la “Cerca e cavatura del tartufo in Italia” viene riconosciuta Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dall’UNESCO, sottolineando l’importanza culturale e storica di questa pratica tradizionale.

Un touch screen ci permette di esplorare diversi aspetti legati al tartufo tra storia e costume: dai proverbi ai numeri del lotto, dalla letteratura al cinema.
Proseguiamo a destra con il pannello che ci presenta il tartufo nell’arte.

Il tartufo, prodotto raro e costoso, è stato spesso associato ad un’aurea misteriosa e infernale e accusato di stimolare la gola e la lussuria. Per questo è stato rappresentato raramente nell’arte. Tuttavia, nel XIV secolo, nel Taccuinum Sanitatis si trova un’illustrazione che raffigura un giovane raccoglitore di tartufi, visti come causa di malattia secondo le credenze dell’epoca. Nel 1573 il pittore Arcimboldo dipinge l’Autunno e alcuni studiosi hanno riconosciuto un tartufo nella fissa pupilla nera dell’occhio dell’uomo. Nel 1706, un enorme tartufo è stato dipinto da Bartolomeo Bimbi per la Wunderkammer del Granduca di Toscana. Jean-Baptiste-Siméon Chardin, nel XVIII secolo, dipinge una Natura Morta con cipolle e tartufo, con simbologie moralistiche sottese alla distinzione tra prodotti destinati al popolo e ai signori. Infine, nel 1986, il fotografo Mauro Davoli elabora una fotografia che include il Tartufo di Fragno tra gli altri prodotti di eccellenza della “Valle del Cibo”, facendo rivivere le atmosfere delle antiche nature morte.

Spostiamoci verso il pannello alla nostra destra.

Francesco Petrarca, il grande poeta italiano del Trecento, durante il suo soggiorno al castello di Guardasone, proprietà di Azzo da Correggio, all’epoca Signore di Parma, viene a conoscenza della fama del tartufo di Calestano. Nel suo capolavoro, il Canzoniere, Petrarca cita il tartufo nel nono sonetto; infatti, egli invia poeticamente un cesto di tartufi ad un amico, descrivendoli in questo modo: “…e non pur quel che s’apre a noi di fòre, le rive e i colli di fioretti adorna, ma dentro, dove già mai non s’aggiorna, gravido fa di sé il terrestro umore, onde tal frutto e simile si colga…”. Anche Andrea Bajardi, figura di spicco nella vita culturale e politica di Parma tra il Quattro e il Cinquecento, è noto per la sua raccolta di rime che segue lo stile cortigiano tipico del canzoniere petrarchesco. Il ventunesimo sonetto narra di un piccolo cesto di tartufi inviato in dono all’amata, con la speranza di favorire un incontro galante.

Spostiamoci nuovamente alla nostra destra.

La tradizione millenaria del comune di Calestano vede la ricerca e la raccolta del tartufo come attività tramandata da famiglie contadine. I cognomi di tartufai come Porta, Calzolari, Gennari, Leporati, Ollari sono stati costanti nei secoli. I Leporati e i Porta usavano maiali per la ricerca del tartufo prima dell’uso dei cani, inoltre Rodolfo Ollari, detto “al Morett”, era uno dei tartufai più abili della zona. Oltre alla ricerca tradizionale, si è sviluppata la coltivazione del tartufo nero con pionieri come Francesco Franceschi. Oggi, l’agriturismo Macchiatonda continua questa tradizione impiantando nuove tartufaie.

Il fascino del prezioso tartufo è legato anche ai mercati tradizionali. I prezzi sono soggetti a variazioni significative durante tutto l’anno, influenzati dall’abbondanza dei tartufi raccolti in quella determinata annata: una raccolta scarsa determina, infatti, notevoli scostamenti al rialzo. Sono quattro i criteri principali che ne determinano i prezzi: lo stato di conservazione (consistenza e maturazione), la qualità percepita (intensità e gradevolezza dell’aroma), la pezzatura (piccola, media o grande) e l’estetica (omogeneità di forma e se è utile per il taglio a fette). È possibile conservare il tartufo fresco in diversi modi. Per iniziare, è necessario pulirlo con cura utilizzando uno spazzolino e un panno per rimuovere la terra. Una volta pulito, esistono diversi metodi di conservazione. Si può optare per la conservazione intera mettendo il tartufo in frigorifero all’interno di un contenitore di vetro ermetico, oppure può essere posto in un contenitore ermetico di vetro ricoperto da riso che assorbirà l’umidità in eccesso. Inoltre, se congelato, il tartufo tende a perdere sapore e aroma; meglio allora prepararlo in miscela tritando il tartufo e mescolandolo con il Parmigiano Reggiano grattugiato. Dopo circa dieci giorni in contenitore ermetico nel congelatore, il formaggio avrà assorbito l’aroma del tartufo creando un composto pronto per l’uso in numerose ricette.

Nel territorio di Parma due associazioni si concentrano sulla valorizzazione del Tartufo nero di Fragno. La prima è l’Associazione Tartufai Parmensi, fondata nel 1992, che si impegna nella salvaguardia dei territori tartuficoli e ha contribuito al riconoscimento del Nero di Fragno come specie autonoma nel 1991. La seconda, invece, è l’Associazione Parmense Raccoglitori Tartufi, fondata nel 2003, che difende la ricerca libera e il territorio. Oltre a queste associazioni è presente il Consorzio del Tartufo Uncinato di Fragno che gestisce il Marchio di qualità del Nero di Fragno per conto del comune di Calestano e dei consorziati aderenti e segue il Disciplinare che regola raccolta, commercializzazione e trasformazione. Inoltre, partecipa attivamente ai tavoli ministeriali e promuove la conoscenza, la tutela e la cultura del Tartufo Uncinato.

Il modo più diffuso per gustare il pregiato tartufo è distribuirne sottili sfoglie sulle preparazioni gastronomiche creando un’esperienza sensoriale completa per il commensale. Per ottenere sfoglie uniformi si utilizza il “taglietto da tartufoli”, strumento noto sin dal Seicento. Originariamente realizzato in argento dagli artigiani di Corte, questo strumento si diffuse diventando popolare anche tra la borghesia emergente.

Nella teca possiamo osservare diverse tipologie di tagliatartufi in legno di area parmense.

Durante la Prima Guerra Mondiale il rancio delle truppe giocò un ruolo fondamentale. La “Rotta di Caporetto” del 1917, che ha segnato il massimo arretramento dell’esercito italiano, coincise con la scarsità dei viveri. Tuttavia, la riorganizzazione della logistica alimentare durante la riconquista delle postazioni perse fu cruciale per la vittoria finale. I “viveri di conforto” come cioccolato, alcolici e le alici tartufate, conserve aromatizzate al tartufo, contribuirono a sostenere il morale delle truppe. Sebbene il tartufo fosse solo un aroma, rappresentò un lusso irraggiungibile per molti durante la guerra.

Nella teca possiamo osservare fotografie e reperti storici risalenti alla Prima Guerra Mondiale.
La visita è terminata, rielabora i risultati dei vari quiz e scopri la parola misteriosa, digitala sullo schermo del touch presente in questa stessa sala e, se hai risposto correttamente, potrai vedere un filmato davvero particolare…
Grazie per essere stati con noi e buona permanenza nella terra di Parma.