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La Storia della ricerca dei tartufi

L’addomesticamento del maiale è databile intorno al 7000 a.C. nella penisola balcanica e si diffonde in Europa nel tardo Neolitico. In questo periodo, l’uomo scopre che le femmine del maiale sono irresistibilmente attratte dall’odore del tartufo, un fungo ipogeo. La scienza identificherà in seguito che il tartufo emette androstenone, un feromone simile all’odore del maiale maschio. Così nasce, in tempi antichi, la pratica di cercare tartufi seguendo le scrofe nei boschi vicino agli insediamenti umani.

Il primo utilizzo alimentare del tartufo è stato documentato nel 1900 a.C. in alcune iscrizioni sumeriche incise su tavolette di argilla con caratteri cuneiformi. Questi testi probabilmente si riferivano al tartufo Terfezia Leonis, che ancora oggi si trova nelle terre sabbiose dell’Asia Minore. (Foto 1.1.2) Nel 100 a.C., il tartufo era già un ingrediente pregiato sulle tavole dei Romani, che ne avevano appreso l’uso dagli Etruschi. Marco Gavio Apicio lo cita frequentemente nelle sue ricette nel “De re coquinaria“, l’unico testo di cucina romana giunto fino a noi, conservato oggi nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Poi, dal XIV secolo, la letteratura scientifica e la poesia cominciarono a celebrare le virtù del tartufo. L’erudito arabo Ibn al-Khatib, medico alla corte del sultano di Granada, afferma che aglio e tartufo possono essere utilizzati come antidoti contro gli avvelenamenti alimentari. Anche Francesco Petrarca scrive nel suo “Canzoniere” la fama del tartufo di Fragno, conosciuto durante un soggiorno in terra parmense.

Nel Medioevo, la cerca dei tartufi con i maiali è illustrata nell’affresco di Ambrogio Lorenzetti (1290-1348) nel Palazzo Pubblico di Siena, che mostra un contadino che segue un maiale con una zampa posteriore legata per trattenerlo quando avesse trovato il prezioso tesoro per impedirgli di divorarlo. Tuttavia, l’uso dei maiali era scomodo e inefficiente poiché le scrofe erano attratte dall’odore del tartufo solo in certi periodi dell’anno. Presto i cani, addestrati e con un olfatto eccezionale, si rivelarono più agili ed efficienti per questa pratica. I cani, a differenza dei maiali, non danneggiano il terreno né rovinano i tartufi non ancora maturi. Per questo motivo, oggi in Italia è vietata la ricerca dei tartufi con i maiali. 

Il primo testo che menziona l’uso di cani addestrati per la ricerca dei tartufi è il “Trattato della natura de’ cibi e del bere” del medico bolognese Baldassarre Pisanelli, pubblicato nel 1583. Diverse razze di cani si sono dimostrate particolarmente adatte a questa pratica: Bracchi, Spinoni, Pointer, Grifoni e meticci con buon olfatto. Il Bracco, robusto e resistente, è facile da addestrare. Lo Spinone, diffuso e di taglia medio-grossa, ha un olfatto molto sensibile ed è resistente e obbediente. Il Pointer è veloce, instancabile e facile da addestrare. Lo Springer spaniel inglese è adatto a zone con vegetazione fitta, mentre l’Epagneul Breton, di taglia medio-piccola, è resistente alla fatica e alle intemperie, ha un buon olfatto e una velocità media. Col tempo, il Lagotto romagnolo, originariamente utilizzato per il riporto nella caccia in palude, è diventato il cane da tartufo per eccellenza. Rappresentato in un affresco di Andrea Mantegna del 1474 con il Marchese Ludovico II Gonzaga , il Lagotto è un cane di taglia medio-piccola, con un mantello riccio e idrorepellente, affabile, intelligente e con un olfatto eccezionale. Dopo vent’anni di selezione, è stato riconosciuto ufficialmente il 15 ottobre 1991 come tredicesima razza italiana, specificamente denominata “cane da tartufi”. È grazie al rapporto straordinario tra l’uomo e il suo cane che la pratica della “Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali” è stata dichiarata nel 2021 “Patrimonio culturale immateriale dell’umanità” dall’UNESCO.

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